La scleroterapia Eco-guidata

li antichi romani avrebbero detto “nisi ubi necesse” (solo dove serve) ma naturalmente le loro nozioni di flebologia, per quanto qualche terapia la conoscessero, erano lontanissime da quello che i medici oggi sanno fare.

L’idea che sta alla base della sclerosi eco-guidata per le varici degli arti inferiori è proprio questa, fare un’iniezione in un punto specifico, generalmente inaccessibile alla visione diretta. La sclerosi cosiddetta “visuale” permette infatti solo l’iniezione di una vena visibile ma, purtroppo, questa solo raramente coincide con il punto in cui si origina il reflusso, cioè quel flusso di sangue in senso contrario che rappresenta il motivo principale per cui si sviluppano le vene varicose.

L’utilizzo nella pratica clinica della diagnostica ultrasonora con l’ecocolordoppler ha rappresentato una vera e propria rivoluzione per noi flebologi. Infatti oggi è possibile studiare “in vivo”, cioè direttamente nel paziente, il suo sistema venoso con un’accuratezza mai raggiunta prima e, sulla base dell’immagine che l’ecocolordoppler ci fornisce, iniettare il farmaco sclerosante con una precisione millimetrica.

Quindi oggi possiamo effettuare delle scleroterapie mirate, utilizzando quantità minime di farmaco (quindi riducendo al massimo i rischi per il paziente) ma migliorando in modo sostanziale i risultati perché l’iniezione sclerosante viene effettuata solo dove serve o per meglio dire “nisi ubi necesse”!

La scleroterapia ecoguidata

Fino a pochi anni fa il trattamento della vena safena insufficiente aveva un solo gold standard: la chirurgia. Questa era infatti quasi l’unica proposta terapeutica per i nostri pazienti e spesso veniva eseguita con criteri tradizionali, stripping lungo a tutti, diagnostica pre-operatoria rudimentale (Doppler CW nella migliore delle ipotesi), anestesia generale o spinale e ricovero di una settimana.

Alla fine degli anni 80 venne proposta la sclerosi ecoguidata della safena e, per la prima volta, la scleroterapia iniziò quel processo di affrancamento da quella fase “artigianale” che l’aveva caratterizzata fino a quel momento.

Infatti la necessità di uno studio strumentale preciso e il monitoraggio del risultato divennero una costante della scleroterapia ecoguidata. Inoltre la possibilità di guidare con esattezza il trattamento portò a un’aumentata sicurezza che dette nuovo impulso a tutta la scleroterapia.

Pochi anni dopo, con l’introduzione nella pratica clinica della schiuma, il trattamento sclerosante in eco-guida entrò a pieno titolo a far parte dell’armamentario terapeutico del flebologo.

Sulla scorta di questa novità ebbe nuovo impulso anche la ricerca di alternative non chirurgiche e si può affermare che anche le tecniche ablative termiche sono state stimolate dalla necessità di trovare un’alternativa al tradizionale stripping, intervento quest’ultimo ormai relegato in molti paesi non più al ruolo di gold standard, ma solo a quello di un old standard.

Chirurgia per le vene varicose? No, grazie.

Per molti lettori il trattamento delle vene varicose è associato all’idea dell’intervento chirurgico. Se questo era vero in passato sono ormai molti anni che le varici si possono trattare con metodi non chirurgici. Infatti nell’ambito della flebologia più avanzata è oggi possibile trattare i pazienti con diverse forme di ablazione non chirurgica come con la schiuma sclerosante.

Questa forma di scleroterapia permette ormai di eliminare le vene di qualsiasi calibro e si effettua in ambulatorio senza il ricorso a nessun tipo di anestesia in quanto assolutamente indolore. Nella stragrande maggioranza dei casi una safena insufficiente viene eliminata in due o tre sedute con il paziente che in genere può ritornare immediatamente alle sue occupazioni.

I vantaggi sono quindi molteplici sia dal punto di vista del medico (minore invasività, tempi di esecuzione brevissimi e possibilità di eseguire terapie veramente mirate), che da quello del paziente (assenza dell’intervento chirurgico, anestesia non necessaria, dolore praticamente assente, ritorno immediato al lavoro ecc ecc).

Quindi possiamo concludere che oggi sia veramente possibile dire “Chirurgia, no grazie!” per quello che riguarda le vene varicose ma, ovviamente, è necessario affidarsi a operatori esperti che abbiamo nel proprio curriculum una formazione specifica in flebologia e soprattutto in scleroterapia.

Dr Alessandro Frullini
Presidente onorario AFI – Associazione Flebologica Italiana
a.frullini@associazioneflebologicaitaliana.it

La Flebologia: una disciplina veramente ambulatoriale

Oggi si da per scontato che andare nello studio di uno specialista (e in particolare dal flebologo) significhi che il medico, in un unico luogo, faccia diagnosi ed eventualmente la terapia del caso. Un tempo le cose non stavano così, dal medico si andava al massimo a farsi fare una ricetta o un’impegnativa, ma poi iniziava un simpatico girotondo di appuntamenti tra uffici, radiologia e tanto altro. Alla fine di tutto questo bisognava recarsi in ospedale o in clinica per farsi fare la terapia.

La Flebologia è stata il mezzo perfetto per rivoluzionare il meccanismo: oggi i flebologi lavorano solo con un’ecocolordoppler in studio (senza di questo non si può più fare una flebologia degna di questo nome) questo , se si hanno le competenze, è sufficiente per fare una diagnosi precisa.

Sul fronte della terapia poi sono state sviluppate procedure che permettono di ovviare alla necessità dell’intervento chirurgico nella quasi totalità dei casi: scleroterapia ecoguidata con schiuma, ablazione termica o chiusura con colla. Tutte queste terapie possono essere effettuate in uno studio medico realizzando la vera ambulatorietà.

La scleroterapia ecoguidata in particolare permette il trattamento di una safena con facilità (attenzione non dico sia “semplice”, c’è bisogno di apprendere la tecnica e di una supervisione).

Ambulatorio è un termine che viene dal latino, sull’enciclopedia viene descritto come “luogo dove si va camminando a farsi curare” ed è proprio questo che fa la flebologia moderna cercando di coniugare efficacia delle cure con quello che gli anglosassoni chiamano Quality of Life, o forse è meglio dire con un termine molto più nostro “rendere la vita più semplice ai pazienti”.

Dr Alessandro Frullini
Presidente onorario AFI – Associazione Flebologica Italiana
dr.afrullini@gmail.com

IL MODERNO TRATTAMENTO DELL’ INSUFFICIENZA VENOSA DEGLI ARTI INFERIORI

Prof Alessandro Frullini

Presidente Onorario AFI – Associazione Flebologica Italiana

info@venevaricose.it

I progressi della medicina moderna rendono oggi l’insufficienza venosa una delle patologie con la più alta possibilità di controllo, ma risulta essenziale che il paziente sia informato correttamente in modo da affrontare per tempo la malattia e operare un’adeguata prevenzione.

Le teleangectasie sono la forma iniziale dell’insufficienza venosa. Si tratta di piccolissime varici blu o rosse ben visibili sulla pelle degli arti inferiori, i cosiddetti “capillari”. Questi sono appunto una forma molto precoce della malattia e, in genere, rappresentano solo un problema estetico. Malgrado questo dobbiamo subito precisare che talvolta anche le teleangectasie sono la spia di un problema più grave e se, specialmente quando sono presenti sintomi come pesantezza alle gambe o gonfiore, è necessario approfondire la diagnosi.

Le vene varicose (o varici) sono invece la fase successiva e più evidente della malattia, si tratta di vene dilatate, ben visibili quando il paziente si mette in piedi.

In queste vene il sangue scorre in senso contrario cioè invece di dirigersi verso il cuore, scorre lentamente verso i piedi. Questa alterazione della circolazione è fonte di sintomi per il paziente e soprattutto di una perturbazione dei tessuti che può portare a complicazioni anche gravi. L’emorragia varicosa, l’ulcera cutanea e la trombosi venosa sono le complicazioni più frequenti e più temute.

La varicorragia è appunto l’emorragia a carico di una vena varicosa., un’evenienza non troppo rara e a volte preoccupante. La vena inizia improvvisamente a sanguinare e se ciò avviene durante il sonno può avere conseguenze molto gravi. Il miglior rimedio in questi casi e distendersi e sollevare ben in alto la gamba malata, magari comprimendo con una fasciatura la vena sanguinante.

L’ulcera cutanea è un’altra delle conseguenze dell’insufficienza venosa. La sua incidenza è in costante aumento nel nostro paese, anche perché è più frequente nelle persone anziane e l’età media in Italia è aumentata moltissimo in questi ultimi anni.

Si tratta di una ferita che compare spontaneamente o dopo un piccolo trauma nella gamba con l’insufficienza venosa. Questa lesione non tende a guarire spontaneamente, in alcuni casi sono necessari anni prima di riuscire a risolvere il problema. Inoltre bisogna tenere presente che la possibilità di una recidiva dell’ulcera è alta in alcuni casi. Si comprende quindi come una attenta opera di prevenzione sia essenziale, anche perché i costi sociali di questa patologia sono altissimi.

Una volta fatta la diagnosi di ulcera venosa il trattamento si basa soprattutto su bendaggi ben eseguiti e una terapia locale adeguata . Una volta ottenuta la guarigione dell’ulcera sarà poi necessario provvedere al trattamento delle varici per evitare una recidiva.  Nei casi nei quali, malgrado un appropriato trattamento non si ottengono risultati, è possibile prendere in considerazione un innesto di cute.

Una volta ottenuta la guarigione dell’ulcera venosa sarà importantissimo il ruolo che svolgerà la calza elastica, presidio essenziale nella prevenzione di nuove ulcere.

La trombosi venosa è un’altra complicazione della malattia venosa anche se non sempre è dovuta a questa patologia: infatti una trombosi può essere dovuta a un trauma, a un difetto coagulativo o a molte altre patologie. L’insufficienza venosa rimane comunque il maggior fattore favorente una trombosi. Si distinguono due tipi di evenienze: la trombosi venosa superficiale (TVS) e la ben più temibile trombosi venosa profonda (TVP).

La trombosi venosa superficiale è la formazione di un coagulo (in questo caso si parla più propriamente di “trombo”) all’interno di una vena superficiale. Ciò può avvenire più facilmente in una vena varicosa perché in queste il sangue scorre più lentamente e questo favorisce la trombosi. Malgrado questa sia la forma meno pericolosa di trombosi, non bisogna sottovalutare le possibili conseguenze. Infatti il 25% delle trombosi superficiali  si propaga al circolo profondo e una piccola percentuale di queste si può complicare con la temibile embolia polmonare. Fortunatamente sono oggi disponibili molti presidi in grado di limitare al massimo le conseguenze di una trombosi superficiale. Nella maggior parte dei casi un’adeguata compressione elastica e una deambulazione quotidiana sono sufficienti anche se, a volte, è necessario associare una terapia farmacologia.

La trombosi venosa superficiale è indubbiamente la forma più grave di trombosi, soprattutto perché coinvolge vene di dimensioni più grandi e quindi la loro occlusione può avere conseguenze sul circolo di ritorno dell’arto inferiore. Le cause possono essere moltissime (post-intervento chirurgico, per un’immobilizzazione prolungata, per un difetto della capacità di coagulare del sangue, per l’effetto laccio di alcuni indumenti ecc ecc). Spesso più che una sola causa si registra la presenza di più concause che sommandosi possono portare all’evento trombotico.

La terapia della trombosi venosa profonda si effettuava in passato con una terapia anticoagulante e l’immobilizzazione a letto. Da alcuni anni le cose sono completamente cambiate e, oggigiorno, questi pazienti vengono fatti camminare prima possibile con una compressione elastica e una terapia farmacologia. Si è visto infatti in molti studi internazionali che il rischio embolico è sicuramente superiore immobilizzando il paziente a letto.

 

Uno degli errori che spesso i nostri pazienti compiono è quello di non preoccuparsi di una vena varicosa che non provoca dolore. Purtroppo questo comportamento è quello che permette solo l’aggravamento del quadro patologico  e aumenta la possibilità di incorrere in una complicazione.

Tutte le malattie hanno infatti una prima fase asintomatica (pensiamo per esempio alle patologie neoplastiche), ma purtroppo non riusciamo a fare una diagnosi precoce per la localizzazione della patologia. Le varici sono invece ben visibili e quindi una diagnosi ma soprattutto una terapia precoce permetterebbero una risoluzione più semplice della problematica con indubbi vantaggi per il paziente.

L’ecocolordoppler è lo strumento  che ha permesso una diagnostica accurata e non invasiva dell’insufficienza venosa. Mediante questa tecnica (in sostanza si tratta di un’ecografia) è oggi possibile studiare con accuratezza la morfologia delle vene e come il sangue scorre al loro interno. La precisione di tali strumenti è tale che è possibile studiare vene più piccole di un millimetro.

 

La terapia dell’insufficienza venosa si può oggi attuare con l’utilizzo di molteplici tecniche, spesso combinando trattamenti differenti con lo scopo di minimizzare il disagio al paziente e nel contempo ottimizzare i risultati.

Le teleangectasie vengono essenzialmente trattate con la scleroterapia cioè mediante microiniezioni di un farmaco che chiude il vaso sanguigno patologico e sposta il sangue che vi ristagnava in un vaso normale.

I risultati del trattamento sono in genere molto buoni, ma la domanda che i nostri pazienti ci pongono più frequentemente è quella relativa alla durata di questi risultati. A parte pochi casi fortunati, la maggior parte dei pazienti dovrà mantenere i risultati ottenuti con altre sedute (spesso sono sufficienti pochissime sedute ogni uno – due anni). Questo perché la scleroterapia tratta la vena malata, non la malattia del paziente che potrà continuare a formare nuovi capillari patologici. Malgrado questo la maggior parte dei pazienti riesce a controllare facilmente la situazione e, in genere, una o poche sedute ogni qualche anno sono sufficienti a mantenere le gambe con un buon aspetto.

Negli ultimi anni è stato utilizzato anche il laser nel trattamento delle teleangectasie. L’opinione comune è che si tratti di una tecnica indolore e magica ma nella realtà le cose non stanno veramente così: se si utilizza un laser con lunghezza d’onda adeguata il trattamento non è del tutto indolore, ma, soprattutto, i risultati del laser sui capillari delle gambe risultano essere molto inferiori a quelli della scleroterapia.

I progressi più interessanti degli ultimi anni si sono comunque osservati nel trattamento delle varici dove la situazione è cambiata radicalmente rispetto al passato.

Oggi il medico e il paziente hanno a disposizione una chirurgia meno invasiva (la cosiddetta “soft surgery”), una scleroterapia con schiuma e l’ablazione termica della safena.

La chirurgia “soft” è quella nella quale tutte le strategie e le tecniche sono indirizzate a minimizzare l’invasività del trattamento: si utilizza l’anestesia locale mediante un’iniezione alla coscia che anestetizza solo la gamba, ci si limita al trattamento dei soli tratti patologici risparmiando le vene non insufficienti, si cerca di non usare più i punti di sutura utilizzando colle o cerotti al loro posto.

I pazienti possono camminare dopo pochissimo dall’intervento e la dimissione avviene poche ore dopo l’intervento. In molti casi il ritorno all’attività lavorativa avviene il giorno seguente.

Il maggiore progresso degli ultimi anni è stato comunque l’introduzione in terapia della schiuma sclerosante.(Fig 8) Si tratta di una schiuma che viene iniettata in vena con l’ausilio di un ecodoppler. Questo permette una terapia mirata e precisa, minimizzando quindi i rischi e raggiungendo allo stesso tempo un’efficacia mai raggiunta prima.

Con questa tecnica è oggi possibile trattare la maggior parte delle varici e questo, nella mia esperienza di chirurgo, ha permesso di evitare oltre l’80% degli interventi chirurgici con ovvi vantaggi per i pazienti.

Con il termine ablazione termica si intende un trattamento nel quale si chiude una vena con il calore. Si tratta di interventi eseguiti in anestesia lombare o locale  nei quali si introduce una sonda dentro la vena malata e si “brucia” il vaso sanguigno con un laser o con un apparecchio a radio-frequenza. Si tratta in pratica di una sclerosi eseguita con il calore invece che con una schiuma. I suoi risultati sono buoni, anche se il trattamento non è molto diffuso nel nostro paese per i suoi alti costi e perché può accadere spesso che anche i tessuti che circondano la vena vengano danneggiati dal calore.

A questi trattamenti più invasivi si associano sempre altri presidi terapeutici, il più importante dei quali è rappresentato dalla compressione elastica con calze o con bende.

Bisogna innanzitutto chiarire meglio la differenza tra calze elastiche e calze riposanti perché molti dei pregiudizi dei pazienti, specialmente di quelli di sesso femminile, si basano su di una cattiva informazione.

Molte persone che non hanno una patologia venosa soffrono di disturbi alle gambe: la commessa che passa molte ore il  giorno in piedi in negozio o l’operaio che lavora tutto il giorno in una posizione scomoda possono essere alcuni dei tanti esempi che si possono fare. Queste persone riferiscono spesso sensazioni di gonfiore alle gambe, specie quando inizia la stagione più calda ma, come già detto non hanno delle vene varicose. In questi casi si consiglia spesso una calza riposante o preventiva. Si tratta di calze molto simili nell’aspetto alle calze normali ma che esercitano una lieve compressione, al di sotto del livello compressione terapeutico. Il sollievo che si prova in questi casi è molto significativo e duraturo.

Nel caso di una vera e propria insufficienza venosa, invece, sono necessarie calze elastiche di tipo terapeutico, vendute su prescrizione medica dove lo specialista deve indicare oltre al tipo anche la misura esatta della calza. Questo è, infatti, il modo migliore per migliorare la cosiddetta compliance o grado di accettazione del paziente. Si comprende chiaramente che una calza (come una scarpa) di una misura sbagliata sia importabile. Se si riesce a trovare la calza giusta il risultato è spesso spettacolare con una rapida riduzione dell’edema e quindi dei sintomi.

Va comunque chiarito che la calza elastica non è in grado di evitare la progressione della malattia, semmai potrà rallentarla, ma non può essere usata come alibi per non curare la gamba. Il rischio di una complicazione potrà sicuramente diminuire se si utilizza una calza elastica, ma non verrà mai annullato se non dopo una terapia specifica.

Concludendo l’insufficienza venosa degli arti inferiori è una malattia cronica, sicuramente controllabile in ogni suo aspetto con le moderne terapie che ci offre la medicina. Comportamenti adeguati (come camminare a piedi quando è possibile o evitare il soprappeso) e una diagnosi precoce sono il segreto per ottenere tale controllo. Il paziente dovrà però essere consapevole che tale controllo dovrà essere mantenuto negli anni come per qualsiasi altra cosa con una “manutenzione” che spesso significherà solo una visita flebologica di controllo ogni due anni.